Il tempo in cui ho realizzato e cercato di metabolizzare le parole delle infermiere è sembrato infinito, il motivo per cui ho dovuto dare spazio al racconto di ieri, che ricomincia così:
Ho realizzato che mi trovavo da sola con Sara chiusa in una stanza in ospedale, che non potevamo muoverci, che nessuno poteva venirci a trovare, che nessuno poteva darmi quell’abbraccio confortante di cui tanto sentivo il bisogno. Che non potevo far portare Teo dai nonni per avere il cambio da mio marito,ognuno doveva stare dov’era senza possibilità di vedersi. Che brutta sensazione…era impensabile ad immaginarla ma viverla ancor peggio.
Così per scacciare il panico chiamo tutti, prima mio marito che solo con la sua voce mi infonde tranquillità, comunico le novità rido e scherzo un po’ di ansia vola via… poi chiamo la zia, ti ho mai parlato della zia pediatra che mi è sempre stata vicina durante l’anno del tumore, la zia che mi tranquillizza quando i bambini non stanno bene? Le spiego cosa sta succedendo e anche in quella telefonata riesco a togliermi un po’ di paure.
“Ele stai tranquilla, è meglio farlo il tampone e vedrai che va tutto bene”
“Si, si grazie zia, scusa ti devo lasciare stanno bussando le infermiere”
“Avanti”
“Signora hanno approvato il tampone, lo facciamo adesso”
Sono le 19.00 entrano due infermiere con tuta bianca, doppia mascherina, doppi guanti, visiera protettiva per gli occhi, sorridono a Sara e mi richiamano all’ordine (per l’ennesima volta non mi rendo conto di avere atteggiamenti a rischio)
“Signora adesso ogni volta che ci vede deve sempre mettersi la mascherina e non avvicinarsi”
“si, scusate, ancora non me ne accorgo…”
“non si preoccupi nel caso glielo ricordiamo noi”
“Sara, ti facciamo prima il tampone nel naso e poi quello in gola, un attimo e finiamo tutto poi ti portiamo la cena”
“Va bene” sussurra con gli occhioni spalancati.
Iniziano. la prima infermiera infila il tampone nel naso a Sara, lo passa alla seconda infermiera che lo inserisce nella provetta da inviare in laboratorio. La prima sfila un altro tampone da infilare in gola
“fai aaaaaahhhhh”
“a”
“più grande, fai aaaaaaaaaaaahhhh”
“aa”
“così non riesco devo usare l’abbassa lingua”
“aaa”
“no, metti per favore l’abbassa lingua così lo facciamo bene” chiede alla collega.
Posiziona l’abbassa lingua, infila il tampone, togli il tampone, togli l’abbassa lingua e zaacc
“mamma è caduto il dentino”
“evvaiii” esultiamo tutte insieme infermiere comprese “stasera passerà la fatina dei denti!!”
Così anche un momento di tensione si veste di allegria.
“Signora lei adesso fino all’esito del tampone non può uscire, per qualsiasi cosa chiami con il campanello e butti tutto in questo secchio e non in quello nel bagno, lasciamo qui sul tavolino il disinfettante e della carta ma sono solo cose per noi non le tocchi, e dato che non può uscire le spetta la cena come a Sara”
“Così indicativamente in quanto tempo danno l’esito dei tamponi?”
“In genere 24 ore”
“Va bene grazie”
Iniziano la svestizione, tolgono il camice monouso, il primo paio di guanti e una mascherina, buttano tutto nel secchio che mi hanno appena fatto vedere, poi si igienizzano le mani con il gel, disinfettano la visiera e salutando escono dalla stanza.
Impressionante è dire poco, ammetto che agli inizi credevo si trattasse un’influenza un po’ più forte ma subito dopo avevo ben chiaro che ormai non si scherzava più, ma trovarsi ad assistere a scene viste solo in televisione è inutile negarlo, lascia il segno.
Dovevo ancora fare la telefonata che più mi preoccupava, avvisare i nonni, chiamando mia mamma per raccontarle cos’è successo (ancora non avevo avvisato nessuno) e cercando di avere un tono tranquillo io per prima.
“Prontiiii”
“ciao”
“Ciaoooo come va?”
“ Insomma… abbastanza bene ma siamo in ospedale Sara è stata male questa mattina ha vomitato ma adesso sta bene, la senti? Sara saluta nonna! Questa notte restiamo qui e poi per precauzione le hanno fatto il tampone, ha uno dei sintomi del Coronavirus ma è più da protocollo che per altro, dobbiamo aspettare l’esito che forse arriva domani e poi vediamo cosa ci diranno i medici”
Le spiego senza mai prendere fiato, per lo meno ero riuscita a dirle tutto senza far trapelare la mia paura?
O forse una mamma la sente lo stesso? Ecco cosa mi chiedevo mentre la facevo parlare con Sara per rendere meno preoccupante la notizia, racconta della stanza colorata, del super letto che si alza e abbassa, del trespolo con la flebo che si deve sempre portare dietro, e del dentino caduto.
Ora che si sono sentite è tutto più facile, dirle che va tutto bene non sembra più una bugia.
Si salutano, ci salutiamo tutti insieme anche il nonno “ Ciao” “Ciaooo” “Ciaoo ciao” “Buona cena” “riposati e stai tranquilla” “ si si, ti scrivo appena ho novità, ciao”.
Mi concentro su Sara, la vedo stanca, assorta in pensieri che forse nemmeno lei riesce ad esprimere, mi avvicino in silenzio e l’abbraccio forte, le riempio la guancia di baci e la sento umida, sono lacrime.
So per esperienza quanto facciano male le lacrime silenziose, quelle che diventano pensieri arruffati in testa sempre più grandi, sempre più spaventosi; cerco di farla parlare, di farle dire cosa la fa piangere, cosa prova.
Dopo una lunga serie di “niente”, si gira e sussurra.
“io, io.. non voglio avere il virus, ho paura”
Queste sono le affermazioni che ti fanno saltare un battito di cuore, alle quali sai di dover dare la risposta giusta o peggiori solo una situazione fin troppo delicata.
Respiro, poi penso che dopo il cancro non sarà certo il Coronavirus a mettermi in ginocchio; ho Sara, ho Teo, ho Roby, ho una splendida famiglia, ho finalmente la casa dei miei sogni con giardino e orto, abbiamo troppo da fare e viverci ancora, per cedere alla paura.
“Amore mio, ancora non sappiamo il risultato non preoccuparti, noi comunque sia lo sconfiggeremo perché siamo una squadra fortissimi, abbiamo poteri pazzeschi e poi con tutta la cacca che hai fatto a quest’ora il virus è morto dalla puzza”
“ahahah ahahahah ahahahaha”
La risata spacca il silenzio, squarcia il velo di ansia, contagia anche me, ci toglie la paura, genera endorfine, felicità, e finalmente ci portano la cena.
Bussano la porta, metto la mascherina
“Avanti”
Vedo affacciarsi l’infermiera con la tuta e il camice come prima, ti senti davvero appestata.
“Signora le lascio sul tavolo la cena, ma non le posso lasciare il vassoio, poso qui, poi butti tutto nel bidone noi non passiamo più, se ha bisogno chiami”
“Grazie”
Minestrina, purea prosciutto cotto e mousse di mela, incredibilmente mangia tutto e con piacere, l’aiuto perché ha un braccio completamente steccato per la flebo, le faccio delle foto e le invio a tutti con la scritta “sto bene e mangio 😊”, appena finito lamenta del mal di pancia e vuole andare in bagno.
Una, due volte e poi si sente meglio e chiede di sdraiarsi a vedere la TV, ci guardiamo tutte le ricette di Benedetta Parodi, le commentiamo e scegliamo quelle da rifare una volta a casa.
Sono quasi le 20.00 facciamo una videochiamata con Teo e papà, finalmente si vedono, si raccontano le reciproche giornate e si augurano buona notte.
Tutta questa tecnologia che tante volte abbiamo accusato di allontanarci dai rapporti umani, in questo periodo di emergenza sanitaria ci fa sentire più vicini e meno soli. Sono grata anche per questo.
Praticare la gratitudine è da alcuni anni una cosa che faccio quotidianamente, per le piccole cose che durante la giornata mi hanno portato un’emozione o vibrazione positiva, adesso mi viene assolutamente naturale essere grata ogni volta che vivo qualcosa di bello anche se piccolo.
Ci prepariamo per la nanna, lei sul lettino e io nella poltrona vicina.
Al cambio turno bussano nuovamente la porta, rimetto la mascherina e faccio entrare la dottoressa che senza superare la soglia ci chiede come si sente Sara e comunica che il tampone è in laboratorio, appena arriverà il risultato ce lo comunicherà, saluta e ci richiude nella stanza che a volte sembra una prigione.
Nel buio della stanza e con la TV accesa si amplificano i rumori della sala infermiere, le sento discutere sulle nuove norme di protezione e procedure da rispettare in caso di contagio, le sento raccontare dei figli, le sento descrivere foto salvate sui cellulari, le sento scambiarsi ricette per la pizza, le ringrazio silenziosamente per il loro prezioso lavoro, poi via via sento sempre meno e scivolo in un sonno agitato.
Si riapre la porta, sto per infilare la mascherina quando si affaccia la dottoressa e sottovoce mi informa che il risultato del tampone è negativo.
“Grazie”
Lei esce e io sorrido, la tensione si scioglie e ringrazio ancora per questa meravigliosa notizia.
“Mamma cos’ha detto la dottoressa?”
“Amore ha detto che il tampone è negativo, non hai il virus e domani forse torniamo a casa, evvai!!!”
“Buonanotte, chissà da che parte entrerà la fatina dei denti?”
“Chissà…!! Sogni d’oro amore mio”
Guardo l’orologio, mancano pochi minuti a mezzanotte, invio messaggi a tutti con una sola parola:
“NEGATIVO” loro capiranno, mi sdraio e chiudo gli occhi felice.
Da quel momento in poi rientra tutta l’allerta, ci svegliamo, Sara trova una monetina sotto il cuscino al posto del dentino caduto, ci diamo una rinfrescata in bagno e aspettiamo la colazione in camera, portano succo di frutta e biscotti e questa volta possono lasciare il vassoio, non siamo più in quarantena io posso uscire dalla stanza.
La giornata per noi ha un sapore diverso, di luce sole e speranza, mi ricorda lo stesso sapore dei miei lunedì di chemio, la speranza di tornare presto a casa. Passa il medico per la visita, un ragazzo giovane gentile che ricontrolla Sara e le prescrive gli esami del sangue per fare una valutazione rispetto ai precedenti. Mi conferma che dato l’esito negativo del tampone, il vomito caffeano è stato provocato da un virus e che ogni altra patologia è stata esclusa.
Se gli esami riconfermano i valori di ieri, dopo pranzo ci mandano a casa con terapia da seguire a domicilio.
In ospedale il tempo si dilata, sembra non passare mai, tra una ricetta di Benedetta e il gioco delle parole incatenate arriva il pranzo, portato con il vassoio dall’operatrice.
Penne in bianco con olive verdi, omelette, grissini, e budino al cacao.
La mia bimba finalmente è affamata, mangia con gusto e non si lamenta più dei dolori dopo. Buon segno!
Ripassa il medico e conferma che gli esami sono buoni e tutti nella norma, dovrà solo fare una cura con gastroprotettore per 10 giorni e stare in isolamento domiciliare preventivo.
“Signora visto lo stato di Sara io vi manderei a casa”
“Oh si si grazie tra le sue cose e con suo fratello si riprenderà subito!”
“Bene, se ci fossero altri episodi simili la riporti subito”
“Assolutamente sì”
“Allora vi faccio portare le dimissioni e potete uscire”
“Grazie mille!!!”
“Sara chiamo papà si torna a casaaaa!!!”
“Evvivaaa”
Poi ci sono i baci e gli abbracci con Teo che per la prima volta è stato senza di noi, ma questa è un’altra storia.
Ho scritto il racconto di questi due giorni per me, per Sara per ricordarmi di un momento storico particolarmente difficile, nel quale ci siamo imbattute, del virus che tanto spaventava perché ancora sconosciuto e senza cure.
Ho scritto per altre mamme, perché non si portino in giro i bambini con troppa superficialità, perché è adesso il momento del sacrificio richiestoci, ma è richiesto solo per il nostro bene, per il bene dei nostri figli e della comunità.
Per questo racconto devo ringraziare due donne meravigliose che con i loro insegnamenti mi hanno dato la forza di convogliare le energie nella giusta direzione senza cedere alle paure e al panico. Rosaria Uglietti che potete leggere sul suo blog: una mamma psicologa e Valentina Carbonera qui il suo profilo Facebook.
Io il Covid-19 lo ricorderò così, grazie anche a te che hai letto fino qui.